CUOCHI ITALIANI IN TRINCEA
Se è vero che il Made in Italy alimentare, con particolare riferimento all’”agro” mantenga e semmai aumenti il suo appeal nel mondo, se ben proposto in tavola, i cuochi ne sono le truppe d’assalto. Ma questa categoria di soldati della buona cucina di bianco vestiti (ma anche di nero, che …sfila), insieme a tanti produttori agricoli ed artigiani alimentaristi, si trova oggi in trincea a contrastare gli assalti dell’omologazione del gusto e dell’appiattimento dell’offerta sui menu a prezzo fisso, sempre più al ribasso ovviamente.
Come la categoria stia reagendo lo sono andato a chiedere a Carlo Bresciani, Presidente Vicario della Federazione Italiana Cuochi, in questi giorni (4 e 5 aprile 2016) riuniti in assemblea nazionale al BHR Treviso Hotel.
“Qualità, prezzo, tradizione” mi dice Carlo, un imperativo composto da tre semplici parole che magari si darebbero per scontate ma come ora ci spiega, nella pratica non lo sono affatto. “Oggi il mestiere del cuoco deve essere supportato oltre che da grande competenza e passione anche, ed in specie, di una vasta cultura, della conoscenza delle materie prime con appellativo d’origine, legate ai territori, derivate da tradizioni antiche. Perché il prodotto dev’essere traslato con la sua storia, direi quasi col vissuto delle mani contadine e artigiane che lo hanno creato e il cuoco ci deve aggiungere del suo, perché nel piatto questi valori traspaiano ed anzi sublimino”
No alla modernità? Tornare all’antico? “No alle mode che uccidono il soggettivo, che non premiano il vero e l’originale, e se tornare all’antico significa recuperare il bambino che abbiamo buttato via con l’acqua sporca allora sì, questo dobbiamo fare per valorizzare al meglio ciò che ci ha fatto la migliore cucina al mondo: la nostra storia e cultura gastronomica che parte dalla terra ed arriva in tavola”.
Innovazione o tradizione? “L’innovazione non è in contrasto con la tradizione, semmai questa ci viene incontro per raggiungere livelli di affinamento e direi quasi di perfezione, impensabili fino a qualche decennio fa, sia per la preservazione e l’esaltazione dei sapori delicati, che per l’adeguamento alle esigenze dietetiche dei nostri tempi che vanno senz’altro alleggerite per la progressiva sedentarizzazione del lavoro. Meno ma meglio non è sempre un’equazione facile da far tornare, presi tra i due fuochi: quello della routine dei fornelli e quello di un cliente sempre più variegato quanto ad esigenze ma altrettanto attento al rapporto qualità-prezzo”.
Qualità e contenimento dei costi, come si conciliano? Lo chiedo a Carlo che è un discepolo di Auguste Escoffier che fu definito “Cuoco dei re, re dei cuochi”, decorato della Legion d’Onore n
el 1920 e nominato ufficiale nel 1928. Nato nel 1846 e morto a Monte Carlo a quasi novant’anni. Uno che iniziò a lavorare a 13 anni come apprendista nella trattoria di uno zio a Nizza dove imparò le basi del mestiere di ristoratore: il servizio, gli acquisti, la cucina. Nel 1865 a 19 anni è a Parigi al Petit Moulin Rouge. Nel 1870 durante la guerra franco-prussiana fu capocuoco al Quartier generale dell’Armata del Reno e divenne il cuoco del generale Mac Mahon, fatto prigioniero a Sedan. Da questa esperienza nacquero i Mémoires d’un cuisinier de l’Armée du Rhin (Memorie di un cuoco dell’Armata del Reno). Un grande cuoco passato alla storia come creativo e un innovatore, autore di ricette conosciute in tutto il mondo, fra cui la celeberrima Pesca Melba, dedicata alla cantante lirica australiana Nellie Melba. Sosteneva che l’arte culinaria dovesse essere praticata con semplicità, valorizzando sapore e nutrimento dei cibi.
“A quest’ultimo insegnamento del grande maestro, io aggiungo” dice Carlo “che l’uso dei prodotti va ottimizzato anche nei termini del non spreco, ovvero del non buttar via niente, che di per sé è già un contenimento dei costi ed altrettanto del privilegiare la sostanza e il valore intrinseco dei prodotti piuttosto che standard di qualità meramente formali. Con ciò intendo dire che una pera storta o sottomisura per farci una composta o un asparago spezzato o più sottile per farci un risotto non sono meno buoni, ma costano la metà. Altra cosa è la qualità che non si vede e che invece va scrupolosamente osservata e raccontata: intendo quella della sanità rappresentata dalla sicurezza che le materie prime non contengano residui da fitofarmaci o altri inquinanti, e la stessa buona genesi della materia lavorata che può essere “prima” ma anche “seconda” nel senso che un buon sugo lo si può ricavare anche dagli avanzi di un bollito o di un brasato e una besciamella da pasta avanzata”.
Ma al Carlo Bresciani chef e patron del Ristorante Antica Cascina San Zago di Salò, nota località del Basso Garda Bresciano chiedo se può illustrarmi una sua ricetta che rappresenti la metafora di questa articolata e certamente non surrettizia filosofia e lui subito me ne spadella una: la “Faraona alla bresciana”.
“E’ un piatto della nostra tradizione” mi dice “che mi viene sempre più richiesto e al quale ho apportato alcune innovazioni. Nella ricetta classica le ossa venivano frantumate e lasciate nella carne, io invece la disosso e poi procedo col ripieno fatto con pane raffermo, formaggio Grana Padano DOP grattugiato, prezzemolo, burro e aglio, sale, pepe, un pizzico di noce moscata e due foglie di salvia.”
Bene, non ci resta che essere solidali buongustai.
Efrem Tassinato
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