VERZA E MUSETTO, UN PIATTO DELLA TRADIZIONE CHE E’ ANCHE UNA FIABA DI NATALE
La Natalina, la corpulenta massara del casòn lungo la Schilla, com’era d’uso, col suo porcello ci parlava anche. E lui in qualche modo le rispondeva. Certo eran grugniti, per lo più interessati e all’ora del pasto che poi era la sciacquatura dei piatti, con le croste di polenta del calièro, con qualche rapa andata a ramengo, pometti butterati e rigorosamente col bào dentro e crusca, quella sì comprata al mulino. Vero è che tra umani e suini, notoriamente animali tra i più intelligenti, un dialogo c’era e quindi, a maggior ragione anche una distinzione con nome proprio. E lui era stato chiamato “Bel Musetto”, quello che per primo la salutava, infilando il grugno nello steccato, lanciando squittii di gioia all’approssimarsi della Natalina lungo il troso che portava al suo casotto col tetto di canne.
Ma quel che la Natalina non avrebbe mai immaginato è che Bel Musetto parlasse anche con Verza, una brassicacea molto particolare, che spiccava per eleganza e floridezza in mezzo a tutte le sue compagne del campo intorno. Tra Bel Musetto e Verza era un dialogo a distanza, quasi platonico. Lui le diceva “come sei bella, ti mangerei!” e lei di rimando con sublime dedizione, ma anche con raffinato spirito “ti sarei davvero un bel contorno!”. Un amore di primo acchito il loro. Anzi, lui l’aveva vista quasi nascere. Quasi, perché Verza là vi era stata trapianta, ma l’aveva veduta crescere e prosperare e, nel tempo, aveva occhi quasi solo per lei. Ma uno alla volta però, perché dallo steccato poteva veder fuori o con uno o con l’altro.
Soprattutto di notte, quelle gelide d’inizio dicembre, rischiarate dalla luna piena, era tutto un sommesso chiacchiericcio. Era un parlare del più e del meno e fatto di qualche confidenza, niente di chissà che, giusto per tenersi compagnia. Come innamorati insomma, che stan bene quando sono insieme e fu così che si giurarono amore eterno.
Per la verità la Natalina, donnona certo, ma non priva di intuito femminile, che ci fosse del tenero tra i due, l’aveva infine percepito e quando venne l’ora, con l’approssimarsi delle festività e tutto ghiacciò, decise di mantenere anche nel loro trapasso, questo amorevole connubio. Ed ecco spiegato – come nelle più belle favole – perché nel pranzo della più tenera festa dell’anno, il Natale oppure nel cenone della più gaia, quella di fine anno, non debbano mancare Musetto e Verza a ricordarci con la loro armonia di sapori, la stretta connessione che un tempo legava umani, bestie e vegetali nella nostra bella terra.
IL MUSETTO è un tipo di insaccato e a differenza del cotechino, la carne utilizzata per l’impasto deriva esclusivamente dal muso del maiale, che viene tritata e mischiata con cannella, pepe, noce moscata e altre spezie a seconda della ricetta (tra cui spesso vi è anche coriandolo e chiodi di garofano).
Tipicamente lo si mangia lesso, bollito nell’acqua. Viene talvolta cotto nella cenere, come per il salame. La soluzione migliore è cuocerlo in acqua con una piccola cipolla, una costa di sedano e un pezzetto di anice stellato. L’anice lo sgrassa quasi completamente.
LA VERZA che deve aver preso il ghiaccio, si taglia a listarelle di un cm e si lascia cuocere a fuoco lento, sopra un soffritto di cipolla e poco aglio, alzando di tanto in tanto il coperchio e mescolando bene. A fine cottura, dopo circa 45 minuti, la verza sarà appassita (sofegà). A questo punto si aggiusta di sale, si profuma con qualche ago di rosmarino e, volendo, con qualche cucchiaio di aceto di vino. A piacere aggiungere pepe oppure peperoncino.
Efrem Tassinato
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